domenica 12 dicembre 2010

dodici dicembre millenovecentosessantanove: una testimonianza edita




Diceva James Graham Ballard:  "Anche la peggior fantascienza è migliore della miglior letteratura convenzionale. Il futuro è una chiave d'accesso al presente più efficace del passato.". Quando Giorgio Manganelli scriveva questa pagina, nel millenovecentosettantatanove, stava cercando una chiave d'accesso al passato, che per lui era un passato prossimo illuminato di luce livida, pieno di urla e di furore come un racconto di fantasmi narrato da un idiota. 



Nella sua ricerca lo aiutava la fantascienza italiana, o meglio quello che era la fantascienza in Italia: la fantascienza che abbiamo imparato a conoscere con Urania, con "Galassia", con Fruttero e Lucentini e con Vittorio Curtoni e (pare fantascientifico dirlo ora)  con Diego Gabutti. Che dalla prima pubblicazioone di questa pagina ad oggi, trentun anni dopo, non sia cambiato praticamente nulla, che le parole di Manfganelli risultino ancora più atrocemente esatte nel duemiladieci che nel settantanove, dimostra che aveva ragione Ballard; o forse dimostra che certi schianti nella storia civile e politica di quest'isola chiamata Terra sono isolati dal continuum spazio-temporarle: dimostra, insomma, che certe volte viviamo in un romanzo di Philip K. Dick.
 


La foto di apertura è di Man Ray, si intitola Allevamento di polvere, ed è una ripresa del Grande Vetro di Marcel Duchamp

sabato 26 giugno 2010

NADJA : Aperitivo con Francesco Orlando





"Les Chants de Maldoror non sarebbero che una caotica compilazione di temi tardoromantici: senza l'inafferrabile pluralità di voci, non solo entro canti e strofe, ma perfino entro pagine e frasi. Che insieme a una voce da vampiro si faccia udire una voce da funzionario e da docente, è la distinzione minima per cominciare. Mi sembra si sia prestato ascolto più spesso all'una che all'altra: o a tutte le altre indistinguibili, o al perverso effetto d'inautenticarle tutte che ha il loro contrappunto".


Francesco Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Torino, Einaudi, 1993.


Conversazione in sei parti con Francesco Orlando (grazie a Mariolina Bertini)


La foto viene da: marcolenzi.wordpress.com/, dove leggete anche una bella nota di necrologio con tanto di musica

domenica 21 febbraio 2010

Tango per Cthulhu






Il quarto capitolo del romanzo di Ernesto Sàbato Sopra eroi e tombe si intitola Rapporto sui ciechi (Informe sobre ciegos: tra breve torneremo sul titolo spagnolo).
E' uno straordinario tour de force che si può leggere anche separatamente dal romanzo (si può, ma non si dovrebbe: il libro intero è meraviglioso); e infatti l'autore lo pubblicò anche in forma autonoma.

"Informe sobre ciegos": già nel doppio significato della prima parola del titolo, che in spagnolo vale appunto "rapporto", "relazione", ma vale anche, come aggettivo, il corrispondente italiano "informe", "senza forma definita" il testo appare, nella sua compattezza adamantina di discesa all'inferno, un frammento di un gigantesco poema gnostico e paranoide, disilluso e demoniaco, scritto da un Céline che per incanto si trasforma in Lovecraft, o viceversa. E del resto i grandi Maudits della letteratura visionaria statunitense hanno nutrito come un fiume carsico l'immaginario latino americano e bonairense nella fattispecie: Julio Cortazar scrisse una bella Vita di Edgar Allan Poe -primo tassello di una lunga dedizione all'autore di Gordon Pym- e Jorge Luis Borges fece un metafisico pastiche lovecraftiano nel racconto There are more things, da Il libro di sabbia, ad esempio. E dunque non stupisce che uno dei più fedeli e bei fumetti tratto da un opera letteraria sia I miti di Cthulhu, versione grafica del ciclo di Howard Philips Lovecraft realizzata dall'argentino Alberto Breccia. In quelle pagine il demiurgo che ha dato vita agli irrappresentabili Cthulhu e Nyarlatothep, il cantore del "caos Strisciante", il profeta dell'Apocalisse INFORME (per l'appunto) che ci aspetta nella biblioteca della Miskatonic University o in agguato tra vicoli di Arkham e Innsmouth, trova per la prima e unica volta un sarto capace di cucire la stoffa dei dei suoi incubi (we are the stuff nightmares are made of...).




Nel testo di Sàbato Lovecraft ritorna, eco fonda e e opprimente che si fonde con quelle di Arthur Machen e William Hope Hodgson. E quella materia figurativa ribollente, incandescente, scabra e sperimentale che "informa" la pagina dei racconti di Cthulhu discendendo in linea retta da una tradizione nera e visionaria che prende le mosse da Piranesi e passa sicuramente per Goya, Redon, Alfred Kubin e Francis Bacon -quella materia, e quella tecnicaBreccia le mise a punto per un progetto che consisteva proprio in una versione a fumetti del Rapporto sui ciechi, che (pare) per l'intransigenza dello scrittore ha visto la luce solo negli anni 90.



Nota uno, a proposito di Céline, Houellebecq e Lovecraft: il più Cèliniano degli autori francesi di oggi, Michel Houellebecq, da giovane ha scritto un meraviglioso libretto che si intitola: H. P. Lovecraft. Contre le monde, contre la vie.

Nota due, a proposito di Bruce Chatwin e Ernesto Sabato: Il capitolo 52 di In patagonia, uno dei più suggestivi, racconta la storia della terribile setta della Brujeria, che "ha lo scopo di far del male alla gente comune. Nessuno sa con precisione dove si trovi il suo quartier generale". E' una filiazione quasi palmare della setta dei ciechi che nel libro di Sàbato affronta e distrugge Ferdinando Vidàl Olmos.

martedì 2 febbraio 2010

Bettino Chi????

 
Wordscape!!!
Grazie al misterioso Alberto (???) o Alessandro (???) o chi altro che ha scattato e tanti anni fa mi ha regalato questa foto. Se  vedi questo post, get in touch.

lunedì 18 gennaio 2010

Giochi di Vertigine (La prisonnière, di Henri-Georges Clouzot, 1969)






A guardarle oggi, le carinerie dell'optical art e dell'arte cinetica ci appaiono un bel fenomeno di moda, un attraente quanto effimera icona di modernariato, perfetta per arredare le copertine degli Stereolab (dopo esser passte per il tritacarne dei Faust) o l'immaginario neo-nouvelle vague.
Nè tanto diversa dovettero apparire all'epoca: una spece di oasi riposante, frivola e snob tra le provocazioni giocose ma assertive dei nouveau réalistes e i post-dadaismi duchampiani e irridenti di Fluxus.



Ci voleva un elegante crudele bastardo come Henri-Georges Clouzot per mettere a nudo, sotto la patina del pret-a-porter, che cosa realmente celavano le illusioni ottiche di Vasarely, Bridget Riley e compagni. L'op Art era, ridotta all'osso, nè più ne meno che un GIOCO DI VERTIGINE di quelli cari a Roger Caillois, e poteva diventare altrettanto perturbante del surrealismo di cui era intessuto il cinema di Bunuel -ma anche di certo Hitchcock.
  La prisonnière (Henri Georges Clouzot, 1969)
 Vertigo (Alfred Hitchcock, 1956)

La fotografia e il cinema, riproduzioni oggettive della realtà ma anche loro letale distorsione,  secondo le geometrie del desiderio, come ben sapevano l'Antonioni di Blow-Up e il Michael Powell di Peeping tom, ingaggiano qui un mortale corpo a corpo con le gabbie a perdita d'occhio e gli sfasamenti retinici dell'op-art: una lotta che termina in un letto d'ospedale come il Polanssky atroce di Le locataire. Come se il cielo che illumina i vostri sogni fosse un accecante codice a barre...




giovedì 14 gennaio 2010

Marcel DuCramps

I Cramps fecero uscire Flame Job nel 1994, dopo tre anni di silenzio dal precedente Look Mum no head! Come da un po' di tempo, nessuno si aspettava troppo da loro, tranne gli Avvertiti (quorum ego) che, comunque si aspettavano abbastanza.
E abbastanza fu: non solo per lo sfavillante vinile rosso che faceva capolino da una copertina  fetish  con tanto di fiamma ossidrica (Poison Ivy-Rorschach in excelsis!), ma anche, e soprattutto per me, per la citazione sul retro della copertina.

Sissignore, Man Ray in un disco Psychobilly! Dunque anche i Cramps avevano gettato la maschera: non erano soltanto degli archeologi militanti di pulsioni primordiali(Sesso droga rock and roll e paura), ma anche dei maturi, consapevoli intellettuali che rileggevano con sei corde e un distorsore i Sacri Testi delle avanguardie storiche.
 Tutto appare ancora più chiaro alla fine della prima facciata: Naked Girl falling down the Stairs è il perfetto anello mancante tra il Nu descendant un escalier di Marcel Duchamp e una scena tagliata di un film di Russ Meyer, magari Faster Pussicat Kill! Kill!, mentre il video gioca con minimale understatement tra suggestioni op-art, design anni sessanta e sexploitation. Ma non è finita qui: a chiudere il disco c'è una sepolcrale, spasmodica Route Sixty-six che si candida prima inter pares tra le innumerevoli versioni del classico di Chuck Berry.  Quando, un anno fa circa, ha incontrato Lux Interior, Marcel Duchamp ha sorriso e ringraziato. Di sicuro.

lunedì 11 gennaio 2010

Wordscape

Due parole su Wordscape: l'idea che sta dietro è quella di guardare alla pagina scritta come se fosse un paesaggio di parole, e come tale fotografarla: e dunque talvolta con il cavalletto, aspettando la luce giusta, ma talvolta anche dal finestrino di un auto in corsa o con la partecipe distrazione di chi passeggia, o ancora  o -perche no?- "come cadendo dalla tromba delle scale". Quello che si perde in pulizia e leggibilità verrà -spero- risarcito dall'immediatezza, dal sapore del morso dell'occhio nella polpa della parola.